Coliandro S1E1 - Il ponte di Stalingrado - il Livello 57
Facciamo un salto molto radicale. Dall'altra parte della città. Ma soprattutto nell'altra faccia di Bologna. Certo, siamo passati dall'Università al tranquillo centro di Bologna. Ma questa volta il salto sarà doppio, perché passiamo alla Bologna dei centri sociali.
Una Bologna che non c'è più, ma che all'epoca, nel 2003, era parte integrante della città ed era al contempo specchio e fonte dell'originalità della città a cui tanti guardavano. I centri sociali erano tanti e diversi. Molti sono nati, qualcuno chiudeva, altri rinascevano. Se a qualcuno interessa, c'è un bel libro di Valerio Monteventi, figura storica dell'autonomia bolognese sul tema.
Ma anche per chi non era militante del movimento, i centri sociali erano parte dei fine settimana. O perché il centro veniva spesso attraversato dalle loro manifestazioni, a cui spesso si univano Rifondazione Comunista e sindacati come la Fiom o le RdB. Ma soprattutto perché, sebbene fossero posti "alternativi", venivano frequentati da tante persone "normali", attratte dall'offerta culturale.
Infatti, a parte il periodo di Genova, dal 2000 (anno del No-Ocse a Bologna) fino alla fine degli anni 2000, i centri sociali bolognesi sono stati soprattutto centri culturali, in cui la parte politica era messa in secondo piano. Tanto che durante la giunta di Guazzaloca, il primo sindaco non di sinistra di Bologna, non ricordo azioni dei centri sociali contro il sindaco.
I centri sociali erano numerosi. Il primo e forse il principale fu il Tpo, che nacque da una occupazione di uno stabile vuoto in pieno centro a Bologna (una vergogna!) per trasformarlo appunto in un Teatro Polivalente Occupato e dare possibilità a tanti artisti bolognesi e non di esprimersi. E visto quello che proponeva, era normale che tanti andassero. Tra i suoi muri passarono spettacoli memorabili di Dario Fo e di Enzo Jannacci. Ma anche tanti altri gruppi e compagnie, tutte con una sensibilità sociale e a favore di progetti sociali. Il Tpo, come gli altri però non stava simpatico alla Bologna bene e all'estrema destra bolognese, molto influente dalle parti della questura. Così il Tpo fu sgomberato in un caldo agosto del 2000, quando la città era deserta. E fu spedito da Guazzaloca prima in perferia (in viale Lenin), poi in un locale fuori Porta Lame (dove sta tutt'ora). E quando l'estrema destra non riusciva a farli chiudere, venivano a passare i sabato sera, con il coltello in mano, fuori da qualche centro sociale. Il Tpo è uno dei pochi sopravvissuti, ma ormai fa attività puramente culturale. Non lo si vede più nemmeno nelle manifestazioni antifasciste. Ed è un peccato, perché proprio in questi centri sociali, come il Tpo o il Livello 57, sono cresciuti gruppi musicali come la Bambole di Pezza, un gruppo "Coliandro", su cui torneremo tra qualche post.
Ma torniamo al nostro Coliandro. Qui vediamo il nostro hacker Psycho (Giuseppe Gandini) andare in uno dei suoi porti preferiti. Chi non ha vissuto la Bologna di quegli anni non riconoscerà il posto, ma per tutti gli altri è chiarissimo: si tratta del Centro Sociale "Livello 57", proprio a fianco del Ponte di Stalingrado. Era un centro sociale la cui attività era legata all'antiproibizionismo, contro ogni divieto nell'uso delle droghe, e per la riduzione del danno, facendo opera pedagogica per diffondere la conoscenza sulle sostanze e per aiutare chi finiva nella dipendenza.
Ma nella puntata e nell'immagine all'inizo di questo post si vede (ne sono quasi sicuro) un'altra cosa molto significativa di quegli anni. Anzi, una persona. Sulla sinistra dell'immagine, con un bomber e un cappellino, sembra vedersi Willie, uno dei personaggi di Bologna. Una volta lo si incrociava spesso, tanto al Livello che in altri luoghi della città. Il corpo e il viso totalmente tatuati, con un look alternativo anche in età avanzata, era uno dei personaggi di Bologna. Quelle figure bizzarre, che potevano spaventare a prima vista, ma che erano accolti e coccolati da una Bologna che all'epoca era ancora accogliente e meno violenta di oggi. Lui, Beppe Maniglia, il Pecora, la Contessa del Pratello, la Giovanna sull'autobus 96, la Tiziana. Ognuno di loro con una storia e un posto in città, nel suo cuore. Se li si vuole conoscere c'è una pagina facebook che ne raccoglie le storie e, aihmé, anche i necrologi.
Willie, tentò di candidarsi a sindaco di Bologna. Il dossier di candidatura fu tutt'altro che ordinario, e non so che risultato ottenne, ma esprimeva un lato della città che allora esisteva, era parte integrante della bonaria Bologna che ancora esisteva in quegli anni.
Oggi tutto questo non c'è più. C'è il turismo, sempre uguale, e che omogeneizza tutto. I centri sociali sono stati chiusi o spostati in periferia, di fatto uccidendoli. Il Tpo è finito fuori dal centro, l'XM24 ha chiuso, il Labas si è normalizzato vincendo un regolare bando per il Vicolo Bolognetti, il Livello si è spostato ma ha di fatto chiuso, del Link si sono perse le tracce, il Crash ha chiuso. Ora c'è una Bologna tirata a lucido per essere consumata a pochi euro da turisti ignoranti. E la città si vanta dei suoi finti taglieri, dimenticando la propria storia. Il Lucio Dalla, tanto osannato (ma in realtà anch'esso prodotto turistico da vendere) è il frutto di quella Bologna lì, frizzante, ironica, bonaria, eccentrica, un po' alternativa e certamente meno seriosa. Una Bologna che non c'è più.
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